S.E.
Rev.ma Mons. MARIO TOSO ,
OMELIA
per l'APERTURA della PORTA SANTA DELLA CATTEDRALE D
FAENZA
Faenza
- Basilica Cattedrale, 13 dicembre 2015
Cari
presbiteri, diaconi, religiosi, fedeli laici,
nel
cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II
papa Francesco ha desiderato aprire la Porta Santa. Egli lo ha fatto
sia per ricordare l'impegno della Chiesa in una nuova
tappa
dell'evangelizzazione, non rimanendo chiusa in se stessa ma andando
incontro all'uomo d'oggi, sia per donare a tutti i nostri
contemporanei l'esperienza trasfiguratrice e consolante del perdono
di Dio. Oggi il mondo ha bisogno di misericordia e di perdono, ha
bisogno di una tenerezza
sconfinata. Detto altrimenti, ha bisogno di salvezza,
ossia di essere cavato fuori dal peccato, dall'egoismo,
dall'indifferenza, dalla spietatezza, dall'odio e dalla violenza,
piaghe che alimentano altre piaghe come diseguaglianza, fame,
povertà, guerre.
La
malattia mortale che colpisce la nostra società non si manifesta
solo attraverso il dominio di una tecnica che, anziché essere posta
al servizio del progresso e dello sviluppo sostenibile, sfrutta sino
all'inverosimile le risorse del pianeta ed è applicata in maniera
indiscriminata, per cui tutto è possibile anche ciò che non è
eticamente lecito, come l'eutanasia, la manipolazione genetica, la
clonazione, il licenziamento di massa.
Anche
i numerosi episodi di terrorismo, i molti conflitti in atto sulla
faccia della terra
- pezzi
di una terza guerra mondiale -, ne sono una manifestazione e ci
testimoniano come l'umanità abbia bisogno di misericordia, di un
cuore nuovo, oltre che di un pensiero nuovo. L'urgenza del perdono
di Dio a ciascuno e tra noi è avvertita con più cogenza perché
ognuno di noi è nativamente ad immagine del Padre misericordioso.
Siamo stati creati per vivere come figli di Dio, come fratelli e
sorelle. Ad ognuno spetta un amore più che umano, quello divino. Il
gap
tra l'esistente e il nostro dover essere figli adottivi di Dio,
famiglia di popoli, è troppo evidente in molte circostanze della
vita contemporanea, che vede crescere disparità e ingiustizie.
Ebbene,
la Chiesa è ben conscia di questa distanza. Proprio l'esperienza
della misericordia di Dio la sospinge a farsi carico dell'annuncio
del perdono a ogni uomo, a ogni popolo, affinché la tenerezza di Dio
aiuti a raddrizzare le strade storte, a
colmare
i burroni che separano.
Il
desiderio inesauribile della Chiesa di offrire misericordia deriva
dalla sua esperienza di accoglienza del mistero di Gesù Cristo
vissuto e celebrato. Detto altrimenti, per cambiare noi stessi, la
Chiesa e il mondo dobbiamo passare attraverso la Porta
che è Cristo.
Ciò
non è possibile d'un colpo. Occorre porsi in stato
di pellegrinaggio
e convertirsi al Redentore.
Ecco quanto siamo chiamati a compiere. Per avere maggior
consapevolezza di tutto ciò è necessario che ci poniamo alcune
semplici domande.
Perché
si diventa così spietati e crudeli nei confronti dei propri simili?
Perché assolutizziamo il denaro, il profitto, la tecnica sino a
rivolgerli contro noi stessi? Perché l'altro da me è spesso
considerato mero strumento o addirittura uno «scarto», ossia un
essere inutile, inservibile?
Ciò
che ci rende gradualmente indifferenti nei confronti degli altri, del
vero, del bene e di Dio, sprezzanti nei confronti dei fratelli, è il
considerarci superiori ad essi. Decidendo di essere noi la misura
della verità, del bene e della realtà finiamo per considerare gli
altri «tu» quali esseri che non ci appartengono, antagonisti,
estranei, concorrenziali. E così essi diventano anche esseri da
sfruttare, quasi fossero semplici mezzi e non fini per noi.
Assolutizzando il proprio io esiste solo il nostro punto di vista, la
nostra verità e nient'altro. Non viviamo la fraternità. Teniamo
la porta sbarrata anche a Colui che per primo ci cerca e viene
incontro. Inoltre, bruciamo ogni possibilità di confronto e di
dialogo.
Tutto
questo lo possiamo considerare frutto di un individualismo libertario
e anarchico che ci deriva dalla crisi della cultura contemporanea,
liquida, senza ancoraggi certi. I doveri e i diritti, non hanno
un'esistenza obiettiva, universale. Se dei diritti devono esserci
essi sono pretese individuali illimitate, senza confini, senza
reciprocità. L'arbitrio è scambiato per diritto. Si giunge a
rivendicare un diritto all'eutanasia, all'aborto. Tanti dei
nostri giovani, ma non solo, pensano che esistano questi falsi
diritti. È certo che chi considera l'aborto un diritto non lo
ritiene un peccato e, pertanto, non ritiene di confessarlo. Bisogna
che lo diciamo chiaro: non esiste un diritto all'aborto, anche se
esistono leggi, come in Italia, che regolamentano questo triste
fenomeno, che non deve inorgoglire le nostre società occidentali,
gonfie di superbia e sempre più misere dal punto di vista
demografico ed economico. Cari fedeli, per noi credenti in Cristo
esiste il peccato dell'aborto. È tra le colpe gravissime
che,
in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia, i
confessori hanno la facoltà di perdonare. Evidenziamolo nei
formulari predisposti per la preparazione alla Confessione, come
anche i peccati relativi all'ambiente
Viviamo,
dunque, quest'Anno Santo facendo l'esperienza della Misericordia
di Dio. Inondiamo il mondo della sua tenerezza.
L'incontro
personale e comunitario con Dio, che ci perdona e risuscita, ci porta
naturalmente verso una visione
di uomo
non autoreferenziale e non prometeico. L'uomo ha bisogno di Dio,
perché è stato creato per vivere non in maniera solipsista, in una
torre d'avorio, bensì in comunione con
Lui, di
Lui, per
Lui. Togliendo Dio è tolta la sua parte migliore. È renderlo monco,
incompiuto. Il criterio
di realtà
ci fa, invece, riconoscere creature
di Dio, bisognose
della sua redenzione.
L'esperienza
dell'amore e del perdono di Dio ci trasfigura. Infatti, accogliendo
la misericordia di Dio Padre ci riconosciamo figli e insieme fratelli
dei nostri simili, riuniti in una stessa famiglia.
L'indifferenza,
l'odio, la spietatezza possono essere vinti allorché ci si
percepisce proprio così. Sarà più facile, come suggerisce il
profeta Isaia, sciogliere le catene inique, togliere i legami del
giogo, rimandare liberi gli oppressi, dividere il pane con
l'affamato, introdurre in casa i miseri e i senza tetto, vestire
chi è nudo, togliere il puntare il dito e il parlare empio, saziare
l'afflitto di cuore (Is 58, 6-11).
L'esperienza
della misericordia rafforzando la fraternità consolida il senso
della giustizia.
Chi vede nell'altro un fratello è maggiormente disposto a dargli
ciò che gli
spetta,
a impegnarsi affinché chi è carne della propria carne possa avere
ciò che corrisponde alla sua dignità. La misericordia presuppone la
giustizia, non la bypassa. La rende più cogente. La sospinge a
superare se stessa per diventare una giustizia più commisurata ai
figli di Dio.
Viviamo,
allora, quest'anno della Misericordia come popolo
samaritano
che apre il cuore a quanti vivono ai margini della società; come
popolo
che inonda di vita nuova i molteplici luoghi esistenziali della
misericordia, come illustrato nella Lettera
pastorale
indirizzata
dal vescovo a tutti all'inizio di quest'anno pastorale.
Rendiamo
le nostre famiglie, le nostre parrocchie, le associazioni e i
movimenti ambienti
di
perdono e di comunione. Maria,
Madre della Misericordia ,
ci
accompagni
nel porre segni
concreti. Ai primi di novembre abbiamo aperto con successo la Scuola
di formazione all'impegno sociale e politico per i giovani. Oggi
stesso è stato inaugurato il nuovo Centro di Ascolto e Accoglienza
della Caritas. A breve sarà aperta la nuova Casa per il clero e per
i laici, quale segno tangibile dell'amore nei confronti dei nostri
sacerdoti anziani. Ma non dimentichiamo che segni di misericordia,
intesa non come semplice assistenza caritativa, debbono essere posti
nei vari luoghi esistenziali segnalati nella già citata Lettera
pastorale e cioè con riferimento alla famiglia, al mondo del lavoro
e dell'economia, della politica, dei mass media, della salute,
della scuola e dell'ambiente.
Partecipando
all'Eucaristia offriamo il nostro impegno di perdono e di
misericordia per far nuove tutte le cose.
13/12/2015 S.E.
Rev.ma Mons. MARIO TOSO
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