«Corpo: Voglio alzarmi, non ne posso più di star qui fermo, in questo letto così scomodo...
Giorno: Sono ancora lontano. Mia sorella Notte ti sta ancora accanto: dammi ascolto, riposa ancora un poco.
Notte: Ma lo sai, Giorno, che costui non sente ragione. Ha deciso di vivere indipendentemente da noi, come se non ci fossimo.
C.: I ritmi sono miei e a nessun costo vorrei perderne il controllo.
G.: Ma se nel cuore della notte ti alzi a lavorare, quando sarò arrivato io sarai stanco e non combinerai più nulla di buono.
N.: Non credo che ti darà mai ascolto: guarda, è già in piedi.
C.: Alzarsi e dormire a piacer mio: ecco la bella vita, questa è la vita vera.
G.: Senti, senti! Hai scoperto l'America, con questa tua trovata. Ma la corrispondenza tra corpo e natura non dipende semplicemente dalla volontà. Noi, io e mia sorella, ti siamo necessari per decidere di te, non dimenticarlo mai.
C.: Voi vi alternate fuori della mia finestra, ma dentro sono io a scandire i miei ritmi. Il tempo è "what I make of it", ciò che io faccio di lui.
N.: Lascialo stare, fratello mio, non capirà mai, se non forse quando patirà il disagio sulla sua propria pelle.
G.: Ma come fa un corpo a dimenticarsi di essere un corpo? Eh!, caro mio, dico a te, proprio a te: come fai a negare così radicalmente te stesso?
C.: Perché, essendo il corpo di un uomo, non sono più semplicemente un corpo. Mi faccio un'idea del mondo, aspiro, ricordo, provo passioni e agisco con progetti. Essendo un "corpo pensante e parlante", posso liberarmi da qualsiasi condizione inopportuna: ad esempio dalla dipendenza da due tipacci come voi!
G.: Ma se noi fossimo davvero condizioni esterne alla tua vita, "tipacci insopportabili" come usi dire, tu avresti cessato di essere un corpo: saresti soltanto un angioletto pensante e parlante, cosa che invece non sei. Nella misura in cui tu resti un corpo, hai ancora bisogno di fare i conti con noi, questa è la verità.
N.: Ora vedrai come si è offeso...
C.: Invece non è così. Semplicemente non vi ascolto più, non perdo più tempo con voi.
G.: Se avrai la bontà di seguirmi in un ragionamento, vedrai che ti convincerò.
N.: Lascialo stare, ormai è perduto.
C.: Voglio ascoltare solo più quest'ultimo argomento: guarda bene che sia l'ultimo, odiosissimo Giorno.
G.: Siamo intesi. Dunque, vorrei chiederti se tu sei sicuro di essere all'altezza di quello che vuoi. Ad esempio, tu sei davvero sicuro di poterti svegliare e addormentare?
C.: Ma che domanda è questa? Certo che sono sicuro: mi sveglio e mi addormento quando voglio io, non quando volete voi.
G.: No, non mi hai capito. Qui non c'entriamo direttamente noi, ma c'entri solo tu. A te, proprio a te, io chiedo se sei sicuro di aver imparato la difficile disciplina della veglia e del sonno.
C.: Ma che cosa vuoi dire? Non ti capisco proprio.
N.: Mio fratello vuol dirti che per l'uomo passare dal sonno alla veglia e dalla veglia al sonno è sempre estremamente complicato. È un atto con cui l'uomo scopre di non bastare a se stesso.
C.: Ma guarda che strane idee debbo sentire. Meno male che doveva essere il vostro "argomento decisivo"!
G.: Il sonno è come una piccola morte e la veglia quasi un nuovo nascere alla vita. Ma la morte è anche riposo, quiete, assenza di preoccupazioni, mentre la vita è compito, relazione, impegno, lavoro, fatica. lo e mia sorella non siamo soltanto fenomeni fisici, astronomici, ma grandi simboli della vita. In ventiquattr'ore, dandoci il cambio con puntualità e garbo come sentinelle fedeli, concentriamo una vita intera.
C.: Questo posso ammetterlo. Ma la mia vita vuole essere libera da questi simboli: mi avete inteso? Libera!
N.: Ma tu non ti chiedi mai perché la preghiera dell'uomo abbia cercato proprio in queste soglie la sua occasione più propizia? Non è proprio al sorgere e al tramonto del sole che l'uomo può diventare consapevole della sua fragile precarietà e della meraviglia di grazia che lo sostiene?
C.: Perdere tutto ogni sera e tornare a vedersi donare tutto ogni mattina: questo sarebbe l'ideale di cui mi parlate?
G.: Non è l'ideale, ma è il reale di ciò che ogni uomo sperimenta nella profondità della sua giornata di veglia e di sonno.
C.: Ma così le cose sono molto diverse da come credevo. Voi non siete più semplicemente epifenomeni del movimento astrale, ma simboli dell'esistenza dell'uomo.
N.: Siamo simboli se restiamo fenomeni, e siamo fenomeni solo se restiamo simboli.
C.: Di quale meraviglia non mi ero mai accorto! Quale tesoro ho sempre dilapidato! È notte. Voglio dormire.
G.: (alla Notte): Cara sorella, a quale miracolo abbiamo assistito! Questo corpo è tornato in se stesso, ha ricominciato a guardare le cose bene in faccia.
N.: Sì, avevi ragione. Si poteva fare qualcosa.
C.: Ora posso pregare nel tempo. Mi avete insegnato molte cose, in questi pochi minuti.
G.: La fede cristiana ci ha sempre guardato con favore, e non a caso.
C.: In fondo, credere in Cristo significa riuscire a rispettare la profonda verità delle cose. Riuscire ad essere ancora un corpo, né più né meno di questo.
G. e N.: Un corpo immerso nel tempo come occasione sempre nuova per scoprire la propria fragilità e la grazia che ci abilita alla libertà.
C.: Pregare nel tempo significa scoprire la presenza di Dio nelle pieghe del tempo. Un corpo, di questo, non dovrebbe mai dimenticarsi»