Padre nell’ombra, decentrato per amore di Maria e Gesù
Prendendo poi spunto dall’opera “L’ombra del Padre” dello scrittore polacco Jan Dobraczyński, il Pontefice descrive la paternità di Giuseppe nei confronti di Gesù come “l’ombra sulla terra del Padre Celeste”. “Padri non si nasce, lo si diventa”, afferma Francesco, perché “ci si prende cura di un figlio” assumendosi la responsabilità della sua vita. Purtroppo, nella società di oggi, “spesso i figli sembrano orfani di padri”, di padri in grado di “introdurre il figlio all’esperienza della vita”, senza trattenerlo o “possederlo”, bensì rendendolo “capace di scelte, di libertà, di partenze”. In questo senso, Giuseppe ha l’appellativo di “castissimo” che è “il contrario del possesso”: egli, infatti, “ha saputo amare in maniera straordinariamente libera”, “ha saputo decentrarsi” per mettere al centro della sua vita non se stesso, bensì Gesù e Maria. La sua felicità è “nel dono di sé”: mai frustrato e sempre fiducioso, Giuseppe resta in silenzio, senza lamentarsi, ma compiendo “gesti concreti di fiducia”. La sua figura è dunque quanto mai esemplare, evidenzia il Papa, in un mondo che “ha bisogno di padri e rifiuta i padroni”, rifiuta chi confonde “autorità con autoritarismo, servizio con servilismo, confronto con oppressione, carità con assistenzialismo, forza con distruzione”. Il vero padre è quello che “rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli” e ne rispetta la libertà, perché la paternità vissuta in pienezza rende il padre stesso “inutile”, nel momento in cui “il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita”. Essere padri “non è mai un esercizio di possesso”, sottolinea Francesco, ma “un segno che rinvia alla paternità più alta”, al “Padre Celeste” (7).
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