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Itinerario artistico-spirituale n°3: NATIVITA', PRESEPIO NEL MONASTERO DELLE MONACHE AGOSTINIANE
24/03/2014

ITINERARI  ARTISTICO-SPIRITUALI  MODIGLIANESI  -  (3)

NATIVITA’ – PRESEPIO  di Enzo Staffa

Presentazione multimediale del bassorilievo del “Presepe” conservato nel parlatorio delle Monache Agostiniane di Modigliana.

Sabato 28 dicembre 2013 ore 15,30, sala del Capitolo delle Monache.

Lettura brano Vangelo e riflessione con  sottofondo musicale.

Premessa:

Il Presepio, come tutti sanno, è stato ideato e voluto da S. Francesco, e fu rappresentato, per la prima volta, a Greccio, in provincia di Rieti, nel 1223.  Il termine deriva da latino “Praesepe” che significa stalla.La rappresentazione sistematica del presepe nelle chiese con statuine di legno o di terracotta dipinte a mano in ambientazioni che rispecchiavano i tempi e i luoghi, inizia nel Regno di Napoli nel 1400.

Nel primo decennio del 1500 S. Gaetano di Thiene inizia a mettere nel presepe, assieme ai protagonisti essenziali, dei personaggi secondari vestiti secondo le fogge dell’epoca. Nell’Italia Settentrionale, invece, i primi presepi popolari si diffondono nel XVII sec. differenziandosi da quelli napoletani, per l’uso di materiali i più disparati e, con la timida  l’introduzione del movimento in statuine con arti snodati, per rappresentare, normalmente, degli artigiani al lavoro. Con il progresso tecnologico, la fantasia ha portato a rappresentare presepi sempre più grandiosi, belli e spettacolari aggiungendo acqua in movimento, il ciclo giorno-notte continuo, proiezioni di ombre cinesi in movimento, musiche di sottofondo ecc. Contemporaneamente si è sviluppata l’usanza di proporli anche nelle abitazioni private per la gioia dei piccoli e dei grandi.

 Veniamo ora all’opera d’arte. presepe_rid.jpg


Il nostro bassorilievo, montato su una apposita struttura in ferro, è fissato ad una parete del corridoio d’accesso al parlatorio del Monastero, proprio qui sotto. Sebbene si tratti di un unicum nell’ambito diocesano, è quasi del tutto sconosciuto, a causa, forse, della sua posizione all’interno di una struttura claustrale.

Il Presepe è rappresentato su una lastra di arenaria, larga 54 cm, alta 174, con una bordatura di 8 cm a forma di cornice.  La tecnica utilizzata è la scultura a basso rilievo.  La formella, anche se è improprio chiamarla così, nel suo insieme, è ben equilibrata; il concetto religioso e la sua articolazione spaziale sono stati ben espressi, seppure non ordinati scenograficamente. 

Nell’archivio del Monastero di Modigliana, purtroppo, non risulta alcuna documentazione che possa chiarirne la provenienza (da donazione forse?) o l’originaria funzione. Possiamo solamente ipotizzare che facesse parte di un ciclo compositivo più ampio, commissionato per un ambiente religioso, oppure fungesse da immagine devozionale di una cappella privata di famiglia nobiliare. La collocazione precedente, mi diceva la Madre Superiora, era nel cortiletto d’ingresso e negli anni ’70, durante la ristrutturazione del Monastero, su suggerimento del compianto Mons. Vincenzo Becattini, che ne intuì i pregi artistici, fu spostato nell’attuale collocazione, per una migliore conservazione e fruizione da parte del pubblico.

Sia il Dott. A. Savioli sia la Dott.ssa Patrizia Capitanio, nei lavori di cui mi sono avvalso per questa presentazione, datano l’opera fra la fine del ‘400 e la metà del ‘500,  Ma ritorneremo su questo con la lettura stilistica dell’opera.


Passiamo alla lettura iconografica.

Più che Natività, come abbiamo detto, è un Presepio a tutti gli effetti, risultando, la rappresentazione, un vero e proprio mix di quanto scritto nei Vangeli e commentato da Santi e Profeti del Vecchio Testamento. Infatti, evento natalizio, angeli cantori, pastori festinantes,  corteo di Re Magi guidati dalla stella, sono assemblati in un susseguirsi compositivo fantastico, diluito in una prospettiva verticalizzata, in sette episodi. Singolare, inoltre, la presenza presso la capanna, di due donne che sottolineano l’istinto popolare (ma in realtà d’estrazione colta) dell’artista.

Di quanto scrive Luca ritroviamo “ il luogo”, dove il neonato “fu avvolto in fasce” ed “esposto in una mangiatoia”. Ci sono dei pastori alla veglia delle greggi, ed un Angelo che “si presenta davanti a loro” dicendo “troverete un bambino avvolto in fasce” e che cantano “Gloria a Dio nell’alto dei cieli.” I pastori “vanno senza indugio” e trovano “Maria, Giuseppe e il Bambino”.

Di Matteo è, invece, il racconto dell’Epifania, cioè della manifestazione dei Re Magi: vengono dall’Oriente, si fermano da Erode, sono indirizzati, secondo la profezia, a Betlemme, li guida una stella sul posto, entrano nella “casa” vedono il “Bambino con Sua Madre”, si prostrano e adorano, aprono i loro scrigni e “gli offrono oro, incenso e mirra” quindi “per altra strada” fanno ritorno ai loro paesi.

Nei Vangeli non vengono però ricordati i due animali. L’asino ed il bue del presepe (Speculum Salvatoris e Stabulum, come scriveva S. Girolamo nel 404) entrano nell’iconografia per il senso accomodatizio di Isaia che scrive: (1,3)  “il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”, oracolo che va interpretato come lamento del Signore per i figli che a lui si ribellano mentre egli li ha amorevolmente allevati.

 Come per la scenografia dell’arrivo dei Re Magi e dei numerosi pastori e popolani in costumi variopinti, così, anche per altri particolari del presepe tradizionale, l’evoluzione dell’iconografia, nei secoli, è grandiosa. Siamo passati dallo scarno modello paleocristiano, a quello medievale, rinascimentale, barocco e moderno, e attraverso le molteplici varianti regionali, nazionali e razziali.

Nella nostra opera, l’artista scolpisce ben sette episodi, in altrettanti spazi in progressione verso l’alto, che partendo dal basso, a sinistra, raccontano le scene presepiali secondo gerarchie dimensionali e plastiche differenti, creando un’ottica spaziale di vicino-lontano, in una prospettiva pressoché infinita. La resa delle figure differisce a seconda dei diversi livelli prospettici. Da un quasi altorilievo, nella raffigurazione dei personaggi principali, in basso, lo scultore passa a delle figure più o meno incisive, per arrivare, nella parte più alta della lastra, ad accennare un raffinato “stiacciato” quasi evanescente. 

Approfondiamo ora la lettura iconografica partendo dalla scena principale nel registro inferiore dell’opera.presepe_particolare_nativita.jpg


            Le due donne e la Sacra Famiglia, in primo piano, sono eseguite quasi ad alto rilievo;  aggettanti sono pure il tetto della capanna, la mangiatoia ed il bacile. Viene narrato l’episodio della nascita di Gesù, utilizzando sette figure, due in più della tradizione:

-       la Madre, seduta al centro, in adorazione del Bambino adagiato sulle sue ginocchia;

-       dentro la capanna, S. Giuseppe a mezza figura, dalla folta barba, assorto nei suoi pensieri, o addirittura appisolato in quanto padre putativo del Neonato quindi immaginato estraneo all’evento, e,  più sotto, due animali sulla mangiatoia.

-       le due astanti inginocchiate. 

presepe_particolare_lavacro_rid.jpg


Sono queste due figure di donna, in basso a sinistra, che sorprendono. Quella all’esterno, che in ginocchio, attende al catino per il lavacro del Neonato, ha dei panneggi e delle vesti realizzate in maniera alquanto ricercata ed una particolare acconciatura. L’altra, in aiuto, anche lei con vesti simili, regge degli oggetti indefiniti. Forse un versatore sbeccato ed una pezzuola per asciugare. Sorridono entrambe, liete dello straordinario compito che il destino ha voluto loro assegnare, ignare, forse, di aver lavato il Figlio di Dio fatto uomo.

In verità il parto della Vergine non ha avuto bisogno di alcuna levatrice ed i Vangeli non parlano di assistenti al parto. Se ne parla invece nel Protovangelo di Giacomo – il più antico testo cristiano che sostenga la verginità di Maria non solo prima, ma durante e dopo la nascita di Gesù - (XX,1)  e nello Pseudo-Matteo. Qui si racconta che Zelomi e Salomè assistettero al parto della Madonna. Una di esse, Salomè, secondo l'apocrifo, dubitò della verginità di Maria e volle sincerarsene, così, come castigo, «la mano inaridì e per il grande dolore cominciò a piangere». Pentita del proprio atteggiamento «si avvicinò al bambino e, adorandolo, toccò un lembo dei panni nei quali era avvolto, e subito la sua mano guarì», (XIII,4).  Si spiega così la presenza delle due donne nel nostro bassorilievo e la particolare evidenza posta nella resa della mano destra della più esterna delle due.  

La rappresentazione di personaggi in tale veste, quasi totalmente assente nelle raffigurazioni tradizionali della Natività di Gesù a cui siamo abituati, allinea così il nostro bassorilievo alla tradizione in auge nell’Alto e Basso Medioevo.   



presepe_cappella_palatina_palermo.jpg

Eccone alcuni esempi: 



i mosaici della Cappella Palatina a Palermo risalenti al 1143 circa;


Sorta come oratorio privato del re entro il palazzo reale, oggi è completamente inglobata nelle strutture di Palazzo dei Normanni, sede della Regione.

La Natività è rappresentata nel catino dell’absidiola del transetto di destra.


 

 


presepe_particolare_porta_rid.jpg

una formella bronzea di Bonanno Pisano
intorno al 1180;


La porta di S. Ranieri, (m. 4,70 x 3,02), nella cattedrale di Pisa nel braccio meridionale del transetto, presenta, nella parte mediana, venti formelle con episodi tutti relativi al Nuovo Testamento. La nostra è la n° cinque in basso a destra. Nei due riquadri alla base i dodici profeti e, al margine superiore,   due formelle, di formato maggiore, con le figure in trono di Cristo a sinistra e della Vergine a destra.

 



presepe_giovanni_da_rimini_rid.jpg

un dipinto di Giovanni da Rimini del 1310;


Sulla biografia di Giovanni Baronzio non esistono fonti certe Il primo doc. che lo cita è del marzo del 1292 ed è presumibilmente morto nel 1338.  Sappiamo che fu allievo di Giotto quando questi lavorò a Rimini ed è certamente il fondatore della Scuola giottesca  riminese. Le sue opere più importanti sono forse le Storie della vita di Cristo che decorano Palazzo Barberini a Roma

 

michelino_rid.jpg


un disegno  di Michelino da Besozzo tra il 1395 e il 1405.Michelino Molinari, detto da Besozzo (Va) (1370 circa – 1455 circa), è stato un pittore e miniatorurista italiano. Considerato uno dei maggiori esponenti del Gotico Internazionale in Italia, lavorò prevalentemente in Lombardia.  L’opera mostrata è conservato nella Biblioteca Ambrosiana a Milano

 



Ecco, quindi, che siamo venuti a conoscenza di un’insolita tradizione nelle rappresentazioni presepiali, che si è persa nel corso dei secoli.

 


Ma torniamo al nostro Presepe

Come abbiamo già accennato l’esecuzione del bassorilievo offre numerosi spunti interessanti, a partire dalla resa delle figure chepresepe_particolare_angelo_rid.jpg differisce a seconda dei livelli prospettici.

La parte centrale della lastra presenta la forte sensibilità dello scultore nel voler descrivere una prospettiva pressoché infinita, con una strada tortuosa senza inizio e senza fine, con le sagome delle  colline, che s’incalzano come onde di un immobile mare, e su cui, l’artista, ha sbalzato alcuni personaggi dalle figure più o meno incisive.   Fra queste, quasi adagiate sul tetto della capanna, cinque Angeli musicanti dei quali si vedono solo le teste, il primo dei quali sembra percuotere un tamburello. La posizione dei volti rivela il decisivo impegno nel canto d’Annuncio.  Rispetto al gruppo più sotto queste hanno un rilievo inferiore, mentre ancora più schiacciata è la raffigurazione del pastorello, scolpito più indietro che, seduto dietro il suo gregge, suona la cornamusa. Nell’onda della collina successiva, appare l’Angelo Annunciatore che invita i pastori ad affrettarsi alla capanna ad adorare il nato Redentore.

Proseguendo, la lettura nel registro più alto della lastra, presepe_corteo_magi_rid.jpgpartendo da sinistra,  osserviamo, in un raffinato “stiacciato”, uno scenario complesso, una specie di fiaba sfiorata dal mistero di una notte magica, nella quale i protagonisti sono:



il corteo dei Re Magi a cavallo con seguito, che si allontana da una città murata e protetta da tre fortezze turrite, che imprime un certo dinamismo all’insieme,



la grande stella
a sei punte, che irradia un dosso collinare dietro cui presepe_particolare_stella_rid.jpgspuntano simmetricamente due torri, raffigurazione che sembra ispirata dal Salmo 48 (47), 13 -14, Cantico dei figli di Core 

“ Circondate Sion / Contate le sue torri,

osservate i suoi baluardi

Passate in rassegna le sue fortezze.” 

E, più in basso, il chiaroscuro del bosco dalle ricche fronde. Sul limitare di questo si scorge una forma indistinta forse una pecorella solitaria, probabile riferimento alla Parabola della pecorella smarrita (Mt 18, 12-14).

presepio_bosco_rid.jpg



Il corteo, nel percorso seguendo la stella, passa nei pressi di quella foresta resa egregiamente con asporti profondi, alla base di tre cumuli collinari. 

Scendendo poco più in basso, la strada è ricavata a serpentina e cintata da un muro a ridosso del quale ricompaiono i Re Magi. Se ne vedono sporgere, al di là di un declivio, solo le teste coronate ed il primo è a cavallo. Sono resi però in scala più alta come fossero in procinto di raggiungere la capanna della Natività.

 


Questo per quanto riguarda la lettura iconografica, passiamo ora a quella stilistica

Numerosi sono stati i confronti stilistici affrontati dai due studiosi citati per cercare di ricondurre l’opera ad un preciso ambito artistico.

Dal punto di vista esecutivo non può non sorprendere la magistrale resa dei piani plastici, dal quasi tutto tondo della scena inferiore, allo “stiacciato” dei medi ed ultimi livelli quasi evanescenti.  L’equilibrio tra basso ed alto è assicurato da tutte le componenti, dal moto della strada, al chiaro scuro della foresta e alle dissolvenze aeree nell’estremo registro della lastra. Evidente è la felice composizione della zona capanna contrassegnata dalle figure: dal simbolismo del dormiente Giuseppe, dai quieti animali protesi sulla mangiatoia, dal realismo delle due donne alle prese con il catino puerperale. Al dinamismo dell’interno grotta è contrapposta la staticità della Madre resa come in sospensione; il gesto adorante è mortificato dalla perdita delle mani, mentre sembra notarsi qualche insicurezza nella rappresentazione degli arti inferiori, peraltro splendidamente panneggiati, che richiamano lo stile di un più maturo Rinascimento.

  Il divino Infante viene rappresentato con plasticità volutamente appiattita, quasi a sottolineare un contatto totale, l’abbandono fiducioso del Bambino nel grembo della Madre. L’esito di questo particolare, apparentemente anomalo, forse è dipeso dall’intento dello scultore di immergere i due protagonisti in un’atmosfera di intima sacralità che li isoli da quanto li circonda di usuale, di quotidiano.

Dal momento che, come già detto, nulla si sa dal punto di vista documentale, né della cronologia, né della provenienza e presenza in questa clausura, per una collocazione artistica, dobbiamo affidarci agli indizi iconologici e stilistici.

Come riferimento iconologico viene da pensare a noti modelli rinascimentali da Gentile da Fabriano, a Sandro Botticelli, a Benozzo Gozzoli. Ma mentre quei modelli classici sono ordinati scenograficamente, spesso con motivazioni devozionali atte a mettere in mostra i Signori del posto o il committente e la sua famiglia, con una significativa abbondanza di personaggi ritratti per autocelebrazione, nel nostro, invece, circola, piuttosto, un’atmosfera di mistero. Il rigore compositivo e la essenzialità delle figure, lasciano supporre che l’anonimo autore sia uno scultore collocabile oltre la soglia artigianale e libero da obblighi di committenza e servilismi.  L’articolazione degli spazi, l’evidente rapporto assonometrico tra gronda della capanna e mangiatoia, denunciano un particolare accuratezza e gusto e stile compositivo, che denunciano, chiaramente, la lezione classica degli artisti toscani che, unita all’abbondante ricorso alla tecnica dello schiacciato, di maniera donatelliana, presta una particolare attenzione anche agli artisti di area padana e lombarda. E’ andando, appunto, verso Nord, che ci si imbatte in una serie di Presepi e Natività riconducibili alla medesima data del nostro, cioè alla fine del medioevo. Sono però realizzati in legno, il materiale maggiormente reperibile in zona, non in arenaria o ceramica tipiche invece della nostra area.

Concludendo

Numerosi sono gli esemplari con stilemi ed impaginazione figurativa, analoghi alla nostra opera, rinvenibili in area lombarda, perciò il nostro bassorilievo potrebbe essere stato scolpito da un anonimo lapicida di cultura tosco-romagnola ma con buona conoscenza del fare dei suoi omologhi lombardi, o, addirittura, artista di astrazione lombarda, intorno agli ultimi anni del Quattrocento o al primo quarto o metà del Cinquecento, migrato fra noi.

Pertanto il Presepe delle Monache Agostiniane di Modigliana costituisce un pregevole tassello della storia dell’arte in Romagna nel tardo Rinascimento. 

Non è l’unico comunque. Anche il Presepe così detto di Zattaglia, altro unicum nella nostra Diocesi, è annoverato fra le opere pregevoli del nostro territorio, dello stesso periodo.

 

A titolo informativo presento brevemente quest’altra pregevole opera conservata nel Museo Diocesano di Faenza:


   Il Presepe di Zattaglia, in terracotta policroma, databile intorno al 1497, non è una formella, ma bensì una nicchia arcuata, (cm 63 x 43presepe_formella_rid.jpg ma i nostri due manufatti hanno straordinarie analogie nella raffigurazione del Sacro Evento e dell’ambiente circostante. Anche il presepe di Zattaglia si sviluppa su tre registri: in basso la Sacra famiglia realizzata a tutto tondo; nella parte mediana il gregge e due pastori, uno dei quali suona la cornamusa; in alto l’angelo annunciatore che si staglia contro un cielo terso e, nel boschetto, la pecorella smarrita. In questa raffigurazione la resa prospettica è data dai dettagli: la piccola grotta, il piano inclinato del prato, l’albero sul crinale della collina, il dinamismo dell’angelo. È un capolavoro che gli studiosi hanno attribuito ad «un maestro faentino aperto alle influenze dei plasticatori maggiori del tempo – come Niccolò dell’Arca, autore del famoso Compianto di Bologna e Guido Mazzoni autore di quello di Modena – proteso verso l’ambiente ferrarese.  (Questo giustifica il berretto di S. Giuseppe  di grosso feltro con ampio risvolto che appare in vari dipinti ferraresi). Luisa Renzi Donati, in un breve articolo su questo presepe apparso ne “Il Piccolo” della  settimana scorsa, ricorda che esiste una documentazione d’archivio che attesta la presenza alla corte ferrarese, sin dal 1490, di un ceramista faentino, il terziario francescano fra Melchiorre Biasini, al servizio di Ercole I° e anche di altri come risulta in una lettera di  Astorgio III° datata 1498. L’autore, pertanto, è da ritenere fra questi.

Questo prodotto ceramistico di alta qualità artistica, quasi un prezioso incunabolo dell’arte plastica faentina, rimasto allo stato di biscotto policromato a freddo, fu richiesto e concesso alla Conferenza Episcopale Italiana (Pontificio Consiglio per i Laici) 20 anni fa, per le mostre di Denver Stati Uniti (luglio-agosto 1993), e Città del Messico (novembre 1993 - febbraio 1994) in occasione della Giornata Mondiale dei Giovani e del primo Anniversario della firma del Concordato fra il Vaticano e lo Stato del Messico. Le mostre erano accompagnate dal monumentale Catalogo Vatican Treasures, 2000 Years of Art and Culture in the Vatican and Italy, dove il Presepio è inserito nella sezione Patto di fede e lavoro delle regioni italiane, capitolo Arte e Devozione, con altre opere di umile provenienza. 

Prima di lasciare la parola a Don Massimo mi corre l’obbligo di ringraziare, in primo luogo, la Superiora per aver permesso gli scatti fotografici all’opera, e la presentazione in questa sala, Don Massimo Monti per il prestito del proiettore e poi il fotografo Fabio Leoni che ha prestato la sua qualificata opera gratuitamente, il mio amico Marco Caputo, qui presente, per l’indispensabile aiuto tecnico per l’allestimento di questa presentazione, ed infine voi tutti per essere intervenuti e per la vostra cortese attenzione. 

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