ITINERARI ARTISTICO-SPIRITUALI MODIGLIANESI - (3)
NATIVITA’
– PRESEPIO di Enzo Staffa
Presentazione
multimediale del bassorilievo del “Presepe” conservato nel parlatorio delle Monache
Agostiniane di Modigliana.
Sabato
28 dicembre 2013 ore 15,30, sala del Capitolo delle Monache.
Lettura brano Vangelo e riflessione con sottofondo musicale.
Premessa:
Il Presepio, come tutti sanno, è stato ideato e voluto
da S. Francesco, e fu rappresentato, per la prima volta, a Greccio, in provincia
di Rieti, nel 1223. Il termine deriva da
latino “Praesepe” che significa
stalla.La
rappresentazione sistematica del presepe nelle chiese con statuine di legno o
di terracotta dipinte a mano in ambientazioni che rispecchiavano i tempi e i
luoghi, inizia nel Regno di Napoli nel 1400.
Nel
primo decennio del 1500 S. Gaetano di Thiene inizia a mettere nel presepe,
assieme ai protagonisti essenziali, dei personaggi secondari vestiti secondo le
fogge dell’epoca. Nell’Italia Settentrionale, invece, i primi presepi popolari
si diffondono nel XVII sec. differenziandosi da quelli napoletani, per l’uso di
materiali i più disparati e, con la timida l’introduzione del movimento in statuine con
arti snodati, per rappresentare, normalmente, degli artigiani al lavoro. Con il
progresso tecnologico, la fantasia ha portato a rappresentare presepi sempre
più grandiosi, belli e spettacolari aggiungendo acqua in movimento, il ciclo
giorno-notte continuo, proiezioni di ombre cinesi in movimento, musiche di
sottofondo ecc. Contemporaneamente si è sviluppata l’usanza di proporli anche
nelle abitazioni private per la gioia dei piccoli e dei grandi.
Veniamo ora all’opera
d’arte.
Il
nostro bassorilievo, montato su una apposita struttura in ferro, è fissato ad una
parete del corridoio d’accesso al parlatorio del Monastero, proprio qui sotto.
Sebbene si tratti di un unicum nell’ambito
diocesano, è quasi del tutto sconosciuto, a causa, forse, della sua posizione
all’interno di una struttura claustrale.
Il
Presepe è rappresentato su una lastra di arenaria, larga 54 cm, alta 174, con
una bordatura di 8 cm a forma di cornice.
La tecnica utilizzata è la scultura a basso rilievo. La formella, anche se è improprio chiamarla
così, nel suo insieme, è ben equilibrata; il concetto religioso e la sua
articolazione spaziale sono stati ben espressi, seppure non ordinati
scenograficamente.
Nell’archivio
del Monastero di Modigliana, purtroppo, non risulta alcuna documentazione che
possa chiarirne la provenienza (da donazione forse?) o l’originaria funzione.
Possiamo solamente ipotizzare che facesse parte di un ciclo compositivo più
ampio, commissionato per un ambiente religioso, oppure fungesse da immagine
devozionale di una cappella privata di famiglia nobiliare. La collocazione
precedente, mi diceva la Madre Superiora, era nel cortiletto d’ingresso e negli
anni ’70, durante la ristrutturazione del Monastero, su suggerimento del
compianto Mons. Vincenzo Becattini, che ne intuì i pregi artistici, fu spostato
nell’attuale collocazione, per una migliore conservazione e fruizione da parte
del pubblico.
Sia
il Dott. A. Savioli sia la Dott.ssa Patrizia Capitanio, nei lavori di cui mi
sono avvalso per questa presentazione, datano l’opera fra la fine del ‘400 e la
metà del ‘500, Ma ritorneremo su questo
con la lettura stilistica dell’opera.
Passiamo alla lettura
iconografica.
Più
che Natività, come abbiamo detto, è un Presepio a tutti gli effetti, risultando,
la rappresentazione, un vero e proprio mix di quanto scritto nei Vangeli e
commentato da Santi e Profeti del Vecchio Testamento. Infatti, evento
natalizio, angeli cantori, pastori festinantes,
corteo di Re Magi guidati dalla stella,
sono assemblati in un susseguirsi compositivo fantastico, diluito in una prospettiva
verticalizzata, in sette episodi. Singolare, inoltre, la presenza presso la
capanna, di due donne che sottolineano l’istinto popolare (ma in realtà d’estrazione
colta) dell’artista.
Di
quanto scrive Luca ritroviamo “ il
luogo”, dove il neonato “fu avvolto in fasce” ed “esposto in una mangiatoia”. Ci
sono dei pastori alla veglia delle greggi, ed un Angelo che “si presenta
davanti a loro” dicendo “troverete un bambino avvolto in fasce” e che cantano
“Gloria a Dio nell’alto dei cieli.” I pastori “vanno senza indugio” e trovano
“Maria, Giuseppe e il Bambino”.
Di
Matteo è, invece, il racconto
dell’Epifania, cioè della manifestazione dei Re Magi: vengono dall’Oriente, si
fermano da Erode, sono indirizzati, secondo la profezia, a Betlemme, li guida
una stella sul posto, entrano nella “casa” vedono il “Bambino con Sua Madre”,
si prostrano e adorano, aprono i loro scrigni e “gli offrono oro, incenso e
mirra” quindi “per altra strada” fanno ritorno ai loro paesi.
Nei
Vangeli non vengono però ricordati i due animali. L’asino ed il bue del presepe
(Speculum Salvatoris e Stabulum, come
scriveva S. Girolamo nel 404)
entrano nell’iconografia per il senso accomodatizio di Isaia che scrive: (1,3) “il
bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone”, oracolo
che va interpretato come lamento del Signore per i figli che a lui si ribellano
mentre egli li ha amorevolmente allevati.
Come per la scenografia dell’arrivo dei Re
Magi e dei numerosi pastori e popolani in costumi variopinti, così, anche per
altri particolari del presepe tradizionale, l’evoluzione dell’iconografia, nei
secoli, è grandiosa. Siamo passati dallo scarno modello paleocristiano, a
quello medievale, rinascimentale, barocco e moderno, e attraverso le molteplici
varianti regionali, nazionali e razziali.
Nella
nostra opera, l’artista scolpisce ben sette episodi, in altrettanti spazi in
progressione verso l’alto, che partendo dal basso, a sinistra, raccontano le
scene presepiali secondo gerarchie dimensionali e plastiche differenti, creando
un’ottica spaziale di vicino-lontano, in una prospettiva pressoché infinita. La
resa delle figure differisce a seconda dei diversi livelli prospettici. Da un
quasi altorilievo, nella raffigurazione dei personaggi principali, in basso, lo
scultore passa a delle figure più o meno incisive, per arrivare, nella parte
più alta della lastra, ad accennare un raffinato “stiacciato” quasi
evanescente.
Approfondiamo
ora la lettura iconografica partendo dalla scena principale nel registro inferiore dell’opera.
Le
due donne e la Sacra Famiglia, in primo
piano, sono eseguite quasi ad alto rilievo;
aggettanti sono pure il tetto della capanna, la mangiatoia ed il bacile.
Viene narrato l’episodio della nascita di Gesù, utilizzando sette figure, due
in più della tradizione:
-
la
Madre, seduta al centro, in adorazione del Bambino adagiato sulle sue ginocchia;
-
dentro
la capanna, S. Giuseppe a mezza figura, dalla folta barba, assorto nei suoi
pensieri, o addirittura appisolato in quanto padre putativo del Neonato quindi immaginato
estraneo all’evento, e, più sotto, due
animali sulla mangiatoia.
-
le
due astanti inginocchiate.

Sono
queste due figure di donna, in basso
a sinistra, che sorprendono. Quella all’esterno, che in ginocchio, attende al
catino per il lavacro del Neonato, ha dei panneggi e delle vesti realizzate in
maniera alquanto ricercata ed una particolare acconciatura. L’altra, in aiuto, anche
lei con vesti simili, regge degli oggetti indefiniti. Forse un versatore
sbeccato ed una pezzuola per asciugare. Sorridono entrambe, liete dello
straordinario compito che il destino ha voluto loro assegnare, ignare, forse, di
aver lavato il Figlio di Dio fatto uomo.
In
verità il parto della Vergine non ha avuto bisogno di alcuna levatrice ed i Vangeli
non parlano di assistenti al parto. Se ne parla invece nel Protovangelo di Giacomo – il
più antico testo cristiano che sostenga la verginità di Maria non solo prima,
ma durante e dopo la nascita di Gesù - (XX,1) e nello Pseudo-Matteo. Qui si racconta che Zelomi e Salomè
assistettero al parto della Madonna. Una di esse, Salomè, secondo l'apocrifo,
dubitò della verginità di Maria e volle sincerarsene, così, come castigo, «la
mano inaridì e per il grande dolore cominciò a piangere». Pentita del proprio
atteggiamento «si avvicinò al bambino e, adorandolo, toccò un lembo dei panni
nei quali era avvolto, e subito la sua mano guarì», (XIII,4). Si spiega così la presenza delle due donne nel
nostro bassorilievo e la particolare evidenza posta nella resa della mano
destra della più esterna delle due.
La
rappresentazione di personaggi in tale veste, quasi totalmente assente nelle raffigurazioni
tradizionali della Natività di Gesù a
cui siamo abituati, allinea così il
nostro bassorilievo alla tradizione in auge nell’Alto e Basso Medioevo.
Eccone
alcuni esempi:
i mosaici della Cappella
Palatina a Palermo risalenti al 1143 circa;
Sorta come
oratorio privato del re entro il palazzo reale, oggi è completamente inglobata nelle
strutture di Palazzo dei Normanni, sede della Regione.
La Natività
è rappresentata nel catino dell’absidiola del transetto di destra.

una formella bronzea di
Bonanno Pisano intorno al 1180;
La porta di
S. Ranieri, (m. 4,70 x 3,02), nella cattedrale di Pisa nel braccio meridionale
del transetto, presenta, nella parte mediana, venti formelle con episodi tutti
relativi al Nuovo Testamento. La nostra è la n° cinque in basso a destra. Nei
due riquadri alla base i dodici profeti e, al margine superiore, due formelle, di formato maggiore, con le
figure in trono di Cristo a sinistra e della Vergine a destra.

un dipinto di Giovanni
da Rimini del 1310;
Sulla
biografia di Giovanni Baronzio non esistono fonti certe Il primo doc. che lo
cita è del marzo del 1292 ed è presumibilmente morto nel 1338. Sappiamo che fu allievo di Giotto quando
questi lavorò a Rimini ed è certamente il fondatore della Scuola giottesca riminese.
Le sue opere più importanti sono forse le Storie della vita di Cristo che
decorano Palazzo Barberini a Roma

un disegno di Michelino da Besozzo tra il 1395 e il 1405.Michelino Molinari,
detto da Besozzo (Va) (1370
circa – 1455 circa), è stato un pittore e miniatorurista
italiano. Considerato uno dei maggiori
esponenti del Gotico
Internazionale in Italia,
lavorò prevalentemente in Lombardia. L’opera
mostrata è conservato nella Biblioteca Ambrosiana a Milano
Ecco,
quindi, che siamo venuti a conoscenza di un’insolita tradizione nelle
rappresentazioni presepiali, che si è persa nel corso dei secoli.
Ma
torniamo al nostro Presepe
Come
abbiamo già accennato l’esecuzione del bassorilievo offre numerosi spunti interessanti,
a partire dalla resa delle figure che differisce a seconda dei livelli
prospettici.
La
parte centrale della lastra presenta
la forte sensibilità dello scultore nel voler descrivere una prospettiva
pressoché infinita, con una strada tortuosa senza inizio e senza fine, con le
sagome delle colline, che s’incalzano
come onde di un immobile mare, e su cui, l’artista, ha sbalzato alcuni
personaggi dalle figure più o meno
incisive. Fra queste, quasi adagiate
sul tetto della capanna, cinque Angeli
musicanti dei quali si vedono solo le teste, il primo dei quali sembra
percuotere un tamburello. La posizione dei volti rivela il decisivo impegno nel
canto d’Annuncio. Rispetto al gruppo più
sotto queste hanno un rilievo inferiore, mentre ancora più schiacciata è la
raffigurazione del pastorello,
scolpito più indietro che, seduto dietro il suo gregge, suona la cornamusa. Nell’onda
della collina successiva, appare l’Angelo
Annunciatore che invita i pastori ad affrettarsi alla capanna ad adorare il
nato Redentore.
Proseguendo,
la lettura nel registro più alto
della lastra, partendo da sinistra,
osserviamo, in un raffinato “stiacciato”, uno scenario complesso, una
specie di fiaba sfiorata dal mistero di una notte magica, nella quale i
protagonisti sono:
il
corteo dei Re Magi a cavallo con
seguito, che si allontana da una città murata e protetta da tre fortezze
turrite, che imprime un certo dinamismo all’insieme,
la
grande stella a sei punte, che irradia
un dosso collinare dietro cui spuntano simmetricamente due torri, raffigurazione che sembra ispirata dal Salmo 48 (47), 13
-14, Cantico dei figli di Core
“ Circondate Sion / Contate le sue
torri,
osservate i suoi baluardi
Passate in rassegna le sue fortezze.”
E,
più in basso, il chiaroscuro del bosco
dalle ricche fronde. Sul limitare di questo si scorge una forma indistinta
forse una pecorella solitaria, probabile riferimento alla Parabola della pecorella smarrita (Mt 18, 12-14).
Il
corteo, nel percorso seguendo la stella, passa nei pressi di quella foresta
resa egregiamente con asporti profondi, alla base di tre cumuli collinari.
Scendendo
poco più in basso, la strada è ricavata a serpentina e cintata da un muro a
ridosso del quale ricompaiono i Re Magi. Se ne vedono sporgere, al di là di un
declivio, solo le teste coronate ed il primo è a cavallo. Sono resi però in
scala più alta come fossero in procinto di raggiungere la capanna della
Natività.
Questo per quanto
riguarda la lettura iconografica, passiamo ora a quella stilistica
Numerosi
sono stati i confronti stilistici affrontati dai due studiosi citati per
cercare di ricondurre l’opera ad un preciso ambito artistico.
Dal
punto di vista esecutivo non può non sorprendere la magistrale resa dei piani
plastici, dal quasi tutto tondo della scena inferiore, allo “stiacciato” dei
medi ed ultimi livelli quasi evanescenti.
L’equilibrio tra basso ed alto è assicurato da tutte le componenti, dal
moto della strada, al chiaro scuro della foresta e alle dissolvenze aeree nell’estremo
registro della lastra. Evidente è la felice composizione della zona capanna
contrassegnata dalle figure: dal simbolismo del dormiente Giuseppe, dai quieti animali
protesi sulla mangiatoia, dal realismo delle due donne alle prese con il catino
puerperale. Al dinamismo dell’interno grotta è contrapposta la staticità della
Madre resa come in sospensione; il gesto adorante è mortificato dalla perdita
delle mani, mentre sembra notarsi qualche insicurezza nella rappresentazione
degli arti inferiori, peraltro splendidamente panneggiati, che richiamano lo
stile di un più maturo Rinascimento.
Il divino Infante viene rappresentato con
plasticità volutamente appiattita, quasi a sottolineare un contatto totale,
l’abbandono fiducioso del Bambino nel grembo della Madre. L’esito di questo
particolare, apparentemente anomalo, forse è dipeso dall’intento dello scultore
di immergere i due protagonisti in un’atmosfera di intima sacralità che li isoli
da quanto li circonda di usuale, di quotidiano.
Dal
momento che, come già detto, nulla si sa dal punto di vista documentale, né
della cronologia, né della provenienza e presenza in questa clausura, per una collocazione
artistica, dobbiamo affidarci agli indizi iconologici e stilistici.
Come
riferimento iconologico viene da
pensare a noti modelli rinascimentali da Gentile
da Fabriano, a Sandro Botticelli, a Benozzo Gozzoli. Ma mentre quei modelli
classici sono ordinati scenograficamente, spesso con motivazioni devozionali atte
a mettere in mostra i Signori del posto o il committente e la sua famiglia, con
una significativa abbondanza di personaggi ritratti per autocelebrazione, nel
nostro, invece, circola, piuttosto, un’atmosfera di mistero. Il rigore
compositivo e la essenzialità delle figure, lasciano supporre che l’anonimo
autore sia uno scultore collocabile oltre la soglia artigianale e libero da
obblighi di committenza e servilismi. L’articolazione
degli spazi, l’evidente rapporto assonometrico tra gronda della capanna e
mangiatoia, denunciano un particolare accuratezza
e gusto e stile compositivo, che denunciano, chiaramente, la lezione
classica degli artisti toscani che, unita all’abbondante ricorso alla tecnica
dello schiacciato, di maniera
donatelliana, presta una particolare attenzione anche agli artisti di area
padana e lombarda. E’ andando, appunto, verso Nord, che ci si imbatte in una
serie di Presepi e Natività riconducibili alla medesima
data del nostro, cioè alla fine del medioevo. Sono però realizzati in legno, il
materiale maggiormente reperibile in zona, non in arenaria o ceramica tipiche
invece della nostra area.
Concludendo
Numerosi
sono gli esemplari con stilemi ed impaginazione figurativa, analoghi alla nostra
opera, rinvenibili in area lombarda, perciò il nostro bassorilievo potrebbe
essere stato scolpito da un anonimo lapicida di cultura tosco-romagnola ma con
buona conoscenza del fare dei suoi omologhi lombardi, o, addirittura, artista di
astrazione lombarda, intorno agli ultimi anni del Quattrocento o al primo
quarto o metà del Cinquecento, migrato fra noi.
Pertanto
il Presepe delle Monache Agostiniane di Modigliana costituisce un pregevole
tassello della storia dell’arte in Romagna nel tardo Rinascimento.
Non
è l’unico comunque. Anche il Presepe così detto di Zattaglia, altro unicum nella nostra Diocesi, è
annoverato fra le opere pregevoli del nostro territorio, dello stesso periodo.
A titolo informativo presento brevemente
quest’altra pregevole opera conservata nel Museo Diocesano di Faenza:
Il Presepe
di Zattaglia, in terracotta policroma, databile intorno al 1497, non è una
formella, ma bensì una nicchia arcuata, (cm 63 x 43 ma i nostri due manufatti
hanno straordinarie analogie nella raffigurazione del Sacro Evento e
dell’ambiente circostante. Anche il presepe di Zattaglia si sviluppa su tre
registri: in basso la Sacra famiglia realizzata a tutto tondo; nella parte
mediana il gregge e due pastori, uno dei quali suona la cornamusa; in alto
l’angelo annunciatore che si staglia contro un cielo terso e, nel boschetto, la
pecorella smarrita. In questa raffigurazione la resa prospettica è data dai
dettagli: la piccola grotta, il piano inclinato del prato, l’albero sul crinale
della collina, il dinamismo dell’angelo. È un capolavoro che gli studiosi hanno
attribuito ad «un maestro faentino aperto alle influenze dei plasticatori
maggiori del tempo – come Niccolò dell’Arca, autore del famoso Compianto di
Bologna e Guido Mazzoni autore di quello di Modena – proteso verso l’ambiente
ferrarese. (Questo giustifica il
berretto di S. Giuseppe di grosso feltro
con ampio risvolto che appare in vari dipinti ferraresi). Luisa Renzi Donati,
in un breve articolo su questo presepe apparso ne “Il Piccolo” della settimana scorsa, ricorda che esiste una
documentazione d’archivio che attesta la presenza alla corte ferrarese, sin dal
1490, di un ceramista faentino, il terziario francescano fra Melchiorre
Biasini, al servizio di Ercole I° e anche di altri come risulta in una lettera
di Astorgio III° datata 1498. L’autore,
pertanto, è da ritenere fra questi.
Questo
prodotto ceramistico di alta qualità artistica, quasi un prezioso incunabolo
dell’arte plastica faentina, rimasto allo stato di biscotto policromato a
freddo, fu richiesto e concesso alla Conferenza Episcopale Italiana (Pontificio
Consiglio per i Laici) 20 anni fa, per le mostre di Denver Stati Uniti
(luglio-agosto 1993), e Città del Messico (novembre 1993 - febbraio 1994) in
occasione della Giornata Mondiale dei Giovani e del primo Anniversario della
firma del Concordato fra il Vaticano e lo Stato del Messico. Le mostre erano
accompagnate dal monumentale Catalogo Vatican
Treasures, 2000 Years of Art and Culture in the Vatican and Italy, dove il
Presepio è inserito nella sezione Patto
di fede e lavoro delle regioni italiane, capitolo Arte e Devozione, con altre opere di umile provenienza.
Prima
di lasciare la parola a Don Massimo mi corre l’obbligo di ringraziare, in primo
luogo, la Superiora per aver permesso gli scatti fotografici all’opera, e la
presentazione in questa sala, Don Massimo Monti per il prestito del proiettore
e poi il fotografo Fabio Leoni che ha prestato la sua qualificata opera
gratuitamente, il mio amico Marco Caputo, qui presente, per l’indispensabile
aiuto tecnico per l’allestimento di questa presentazione, ed infine voi tutti
per essere intervenuti e per la vostra cortese attenzione.
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