Concattedrale di S. Stefano: - guida al
presbiterio.
raffigurazioni di S. Giuseppe
a cura di Enzo Staffa
Con
il breve tempo a disposizione posso solo accennare alle raffigurazioni di S.
Giuseppe che abbiamo nelle nostre chiese, come indicato nei manifesti, e
concisamente alle opere d’arte contenute qui nel presbiterio.
Cominciamo con le raffigurazioni di S. Giuseppe
Anticamente ed anche in un passato
recente, S. Giuseppe non era etichettato, per modo di dire, “artigiano”. Era
semplicemente il silenzioso e amorevole patrigno di Gesù che si guadagnava il
pane con il lavoro delle sue mani e vegliava sulla sua famiglia.
Infatti,
sia qui che nella chiesa di S. Bernardo, abbiamo il Santo rappresentato in statue di carta pesta, abbastanza simili, opere
dei famosi plastificatori faentini dell’800, Ballanti e Graziani. Hanno,
ambedue, espressioni lontane dall’umile operaio, dal banco di lavoro, compresi,
come sono, nell’adorazione del piccolo Dio che tengono amorevolmente in
braccio.
Nella statua in S. Bernardo, sotto uno spesso
stato di polvere e con neri filamenti di ragnatele che inghirlandano la
nicchia, il Santo, con il bastone
fiorito, regge, sul braccio destro, un Bambino paffutello, di un anno circa,
che, addormentato, ha abbandonato la testina sull’omero del babbo. Il dolce
Giuseppe sembra dire qualcosa al Bimbo e nello stesso tempo gli regge la manina
che trattiene una piccola mela affinché non gli cada. E’, a mio avviso, di una dolcezza e di un’intimità familiare
straordinaria.
Il
Santo invece nella cappella alla vs. destra, anche qui con il bastone fiorito,
regge un Bambino più grandicello che sorridendo e toccando la barba al babbo,
sembra indicargli in basso i fedeli come a dirgli che è venuto al mondo per
loro. Con l’altra mano Giuseppe sembra rassicurarlo di aver compreso ma il suo
sguardo si perde oltre il Bambino. Qui
l’artista ha dato al Santo un’espressione pensierosa, preoccupata, forse, per
il destino del bambino che, intuisce, sarà pieno di angosce anche per lui.
Nella
chiesa di S. Domenico, invece, c’è una pala non tanto grande, di un ignoto
artista romagnolo del XVII secolo, che, proprio venerdì scorso ho avuto tra le
mani in occasione dello scatto di numerose foto per uno studio approfondito ed
una attribuzione certa, che una famosa studiosa d’arte sta dedicando al
patrimonio artistico conservato nelle chiese della nostra città. E’ posta sull’altare al centro della navata
destra. Faceva parte della quadreria sacra della chiesa della Misericordia. A
differenza delle statue, vi è rappresentato una S. Giuseppe più avanti negli
anni, pelato, molto più vicino a noi, ai nostri artigiani, e lontano dagli
stereotipi iconografici a cui siamo abituati ed accennati sopra. Ha un ginocchio a terra e sull’altro tiene
amorevolmente il Bambino piuttosto cresciuto che è attratto dalle cose che ha
sul banco di lavoro. Allunga una manina e prende un grosso chiodo nero. Anche
tenaglie e martello sono lì; attrezzi
tristemente profetici.
Nell’antichità,
invece, la devozione popolare, aveva attribuito a S. Giuseppe un incarico diverso.
In un manoscritto anonimo, che ho scovato recentemente nella Raccolta
Piancastelli di Forlì, ho letto che, proprio qui in S. Stefano, nel 1700, era
stata istituita una COMPAGNIA DI SAN GIUSEPPE.
(riporto
testualmente)
“La
Compagnia di San Giuseppe, Sposo di Maria, è retta nella medesima chiesa di S.
Stefano Papa Martire, ebbe per suo promotore il piissimo Padre Giulio
Brucalossi, detto di S. Filippo Neri, Fiorentino delle Scuole Pie (quelle di piazza Pretorio e S. Rocco
per intenderci, n.d.e.) che passò nel suo
collegio di Modigliana da questa a miglior vita il dì 14 maggio 1731 con
fama di non ordinaria bontà, cospicuo
per il suo zelo, divozione ed esemplarissimi costumi.
Fu poi eretta compitamente l’anno 1732
come nell’Archivio della stessa Pieve sta registrato e li agregati essendo al
presente delle migliaia.
Per bolla del Sommo Pontefice Clemente XII in
data del dì 13 9mbre 1731 li confratelli
e le consorelle di questa compagnia di S. Giuseppe che è quella del buon morire, godono indulgenza plenaria
nel dì del loro ingresso, nella Festa del Santo e in altri giorni fra l’anno,
adempiendo le solite condizioni;
concorrono poscia, tutti di questa numerosa
compagnia, a celebrare annualmente la Festa di S. Giuseppe con
solennissima pompa e con panegirico
preceduto da una divota novena con sacri colloqui sopra le virtù di questo
Santo per viepiù infervorare ognuno alla divozione del medesimo, procacciarselo
assistente alla morte come singolare protettore
de moribondi.
Ogni confratello alla notizia della
morte d’un agregato è tenuto a far celebrare una messa per la di lui anima ed
ogni anno a sborsare bai…… per le spese occorrevoli in occasione della sudetta
Festa.
Vi sono altri obblighi e beni come
apparisce dai Capitoli che si conservano nell’accennato Archivio.
Non alza questa Compagnia stendardo
nelle processioni, usa però nelle sue funzioni cappa di cotone azzurro con
grembiale rosso cucito d’avanti (sic!).
Sul
tema della morte e di S. Giuseppe, abbiamo una tela nella bella chiesa delle
Monache Agostiniane. Infatti la pala dell’altare laterale destro, raffigura
Santo Giuseppe al momento del sua morte, assistito dalla sposa e dal divin
figlio e angeli oranti, con i consuoceri in alto, in nembo, pronti ad
accogliere la sua anima e presentarla all’Altissimo.
Passerei
ora ad accennarvi brevemente le opere
d’arte che sono conservate qui nel presbiterio cominciando dall’alto, dal
catino absidale.
Nel 1949, in
previsione del 1° Centenario della fondazione della Diocesi e del Congresso
Eucaristico-Mariano dell’11-16 agosto 1950, questa cattedrale venne decorata a
nuovo.
Su cartoni e disegni del
Prof. Arch. Giuseppe Rivani di Bologna, il pittore modiglianese Vincenzo
Stagnani, coadiuvato dal pittore tredoziese Francesco Gurioli, all’inizio di
quell’anno, intrapresero i lavori dei decorazione sotto la direzione di tecnici
bolognesi. Stagnani si dedicò, in modo particolare, al catino absidale con la
rappresentazione della SS. Trinità in verticale con, alla base, il grande
Cristo in trono con Angeli, putti e festoni floreali.
Da notare, in
particolare, la personalizzazione della decorazione con la riproduzione della
Roccaccia in lontananza e della Tribuna con Vescovo e Sacerdoti oranti.
Anche tutte le figure
di Santi, Apostoli, stemmi vescovili e papali rappresentati nella crociera del
transetto, nelle volte, nelle vele e sugli archi principali della navata
centrale, sono di Stagnani mentre Gurioli si dedicò, più che altro, alle
decorazioni geometriche e floreali delle pareti, dei pilastri, dei risvolti,
ecc.
Scendendo, facciamo
un salto indietro nel tempo e troviamo, entro
grande ancona in legno, opera di un famoso artigiano forlivese, la maestosa pala d’altare, eseguita dal Conte Paolo Cignani figlio del celebre pittore
Felice e nipote dell’ancor più celebre nonno Carlo. Olio su tela 300 x 210 - (costo dell’opera 50 scudi), eseguito
a Forlì fra il 1755 – 59, che raffigura:
in nembo la Vergine e
San Giuseppe, ed questo sottolinea l’importanza della
devozione dei modiglianesi a questo Santo
più in basso a sx S.
Stefano Papa e a dx S. Pudenziana. Il pontefice è in ginocchio e offre ai Santi
in gloria, un modellino di città, la Santa invece, seduta, raccoglie in un’urna,
con una pugna, il sangue del martire decollato che avrebbe dovuto essere inserito
nel dipinto ma non lo fu. Fra i due Santi, un putto regge la palma del martirio
e a terra c’è la tiara papale. Qui ci sarebbe da dissertare sul fatto della
sostituzione volontaria o accidentale del nome del dedicatario di questa
chiesa, da S. Stefano Protomartire a S. Stefano Papa Martire. Nella storia
della Chiesa c’è effettivamente un S. Stefano Papa ma non è Martire! Ma non ce tempo per farlo!
Sotto la pala
la scritta dorata recita:
Il Capitolo della Cattedrale, nell’anno
1931, adornò più elegantemente, con pittura e dorature. questo quadro dei
celesti patroni. S. Stefano P. M. e S. Pudenziana vergine . già restaurato dal
Priore Pietro Bandini nell’anno 1818.
Nel tamburo absidale,
- a sx, entro cornice ovale di stucco e decorazione,
una tela di autore romagnolo ignoto del XVIII sec, rappresentate S. Giovanni
Battista. Nel cartiglio sottostante l’iscrizione recita:
La consacrazione. di questa cattedrale . che
un tempo fu Collegiata insigne . si commemora ogni anno . il dì 9 giugno.
- a dx invece, entro identica cornice, altra tela di autore ignoto romagnolo, della
metà del XVIII sec. rappresentante S. Francesco Saverio in atto di scrive
ispirato. L’iscrizione sotto recita:
Altare . privilegiato perpetuo quotidiano .
ad uso del Capitolo della Cattedrale . per concessione di (Papa) Benedetto XIV.
Una curiosità: Il fatto che in questa
chiesa, S. Francesco Saverio sia raffigurato, su tela, per ben tre volte, più
avesse una cappella a lui dedicata, con fonte battesimale, (sacrificata nella
ristrutturazione della seconda metà del settecento per far posto all’accesso alla
nuova torre campanaria) ha una ragione particolare: il promotore e il finanziatore di quella
grandiosa ristrutturazione, che ci consegna questa chiesa nell’attuale
conformazione, era il Priore Francesco Saverio Violani. Evidentemente era molto devoto al Santo suo
omonino e…ci teneva non essere dimenticato, ed a ragione, secondo me.
Alla base del tamburo absidale: Il Coro
dei Canonici della Collegiata: struttura in legno ad un ordine di stalli per i
Canonici e sedili inferiori per i chierici serventi il Capitolo. Al centro, di
fronte agli stalli, il badalone, il grosso leggio girevole che, tanti anni fa, reggeva
due enormi volumi in pergamena dove i Salteri e la musica gregoriana dei Canti
della liturgia delle Ore, erano scritti molto grandi per poter essere letti da
lontano dai canonici seduti nei loro stalli.
Presbiterio
: Altar Maggiore di stucco a
finto marmo. In basso, in un pannello fra le volute a “cornu Evangeli” , cioè alla vs. sx, l’iscrizione:
Jacopo Filippo . Traversari Priore . fece
nell’anno del Signore . 1767. Questi era il nipote del Priore Violani, che,
alla morte dello zio, subentrerà, il 4 giugno 1760, nella carica di Priore e di
finanziatore che porterà a compimento, nel 1795, la grande ristrutturazione
durata circa 50 anni.
Dalla parte
opposta, a “cornu Epistulae”, su
identico pannello, lo stemma della Famiglia Traversari.
Alle pareti quadri di notevole pregio:
a sx
“DISCESA DELLO SPIRITO SANTO” (originariamente era la pala
dell’altare dello Spirito Santo, posto in testa al braccio dx del Transetto,
della Compagnia di 50 confratelli dei Mercanti di seta e l’altare di S. Lucia. Dovete
pensare che nel 1874-75, il Vescovo Leonardo Giannotti, su disegno dell’Ing.
Antonio Zannoni di Faenza, trasformò
questa cattedrale da una a tre navate, pertanto qui c’erano delle cappelle
molto profonde che contenevano da due a tre altari ciascuna).
La tela è di autore
ignoto, qualcuno lo attribuisce a scuola toscana del XVI-XVII sec. mentre qualchedun’altro
lo ritiene di Scuola Bolognese alla maniera del Carracci e del Guercino, dei primi del
XVI sec.
a dx “La SS. TRINITA’ E SANTI VARI” Questa
era la pala d’altare dell’antico Monastero delle Monache Domenicane delle SS.
Trinità, cioè l’ex-Seminario vescovile ed ora Residenza per Anziani. Anche
questa è ritenuta di autore ignoto di scuola bolognese del XVII sec. I
Santi rappresentati sono:
-
in
alto a sx : S. Ambrogio; in basso a sx: S. Agostino; al centro: S.
Francesco di Saverio in estasi, (ecco la sua seconda rappresentazione), S. Ignazio da Lojola, S. Girolamo (che rinuncia
al cappello cardinalizio); a
dx: S. Gregorio Magno papa.
L’ambone da dove vi parlo è opera contemporanea, in bronzo, di don Leonardo
Poggiolini. Porta i simboli di Cristo nella simbologia zoomorfa: il Pellicano
che nutre i suoi piccoli con la sua propria carne, il fuoco purificatore e la
roccia perenne
In testa alla
navata destra c’è la Cappella del SS. Sacramento: ridecorata nel 1938, con una bella “Cena di Emmaus” a tempera, in
previsione del 1° Congresso Eucaristico Diocesano di Modigliana tenutosi dal 17
al 21 aprile 1940, con l’impiego di marmi
pregiati, dalla ditta bolognese Luigi Cavara e figlio su progetto
dell’Arch. Prof. Giuseppe Rivani, e decorata da Agostino Mazzanti, uno dei
più apprezzato decoratori di quei tempi
in regione. Prima del 1770 era la
cappella di S. Giovanni decollato ante
portam latinam del Sig. Carlo Fontana discendente di Sr. Teodora Fontana,
dell’Ordine Agostiniano di Modigliana, morta in odore di santità nel 1620.
Dietro detta
cappella (vi si accede sia dall’abside della stessa, che dal Coro) vi è un
piccolo vano e in un angolo una colonna di mattoni e capitello in pietra serena
scolpito a greche, di stile medievale. Trattasi di uno dei pochi resti visibili
della antica Pieve romanica.
Festa
di S. Giuseppe
di
E. Staffa
La devozione popolare a S. Giuseppe,
a Modigliana, è caduta in disuso attorno agli anni ’50. Chi era una ragazzo od
un bambino in quegli anni, ricorderà, senz’altro, le grosse pigne che ci
trascinavamo per strada legate ad un cordone e che poi, la sera, finivano nella
stufa per farle schiudere, estrarne i pinoli che aprivamo, golosi,
schiacciandoli con un ferro da stiro.
San Giuseppe allora era una festa importante, con tanto di grossa fiera
bestiame nel foro boario. Nelle chiese, dagli altari laterali o dalle loro
nicchie, venivano sortite le statue di S. Giuseppe e poste in bella vista per
novene o tridui di preghiera. A quel tempo non era etichettato, come ora, “artigiano”,
era semplicemente il silenzioso e amorevole patrigno di Gesù che guadagnava il
pane per sé ed i suoi cari con il lavoro delle sue mani e vegliava sulla sua
famiglia.
Recentemente,
in un manoscritto anonimo del 1700, ho scoperto un inaspettato (almeno per me)
attributo che, in quel secolo, si attribuiva a San Giuseppe.
Nell’allora
Chiesa Collegiata di S. Stefano era stata istituita, dal piissimo Padre Giulio
Brucalossi delle Scuole Pie (quelle di Piazza Pretorio), una COMPAGNIA DI SAN GIUSEPPE, “eretta compitamente l’anno 1732”, con miglia di aggregati che concorrevano
a “celebrare annualmente la Festa di S.
Giuseppe con solennissima pompa e con
panegirico preceduto da una divota novena con sacri colloqui sopra le virtù di
questo Santo per viepiù infervorare ognuno alla divozione del medesimo, procacciarselo
assistente alla morte come singolare protettore de moribondi.”
Inoltre…” Per bolla del Sommo Pontefice Clemente
XII in data del dì 13 9mbre 1731 li
confratelli e le consorelle di questa Compagnia di S. Giuseppe, che è quella
del buon morire, godono indulgenza plenaria nel dì del loro ingresso, nella
Festa del Santo e in altri giorni fra l’anno, adempiendo le solite
condizioni.
Conclude
il nostro anonimo Cronista che: “Non alza
questa Compagnia stendardo nelle processioni, usa però nelle sue funzioni cappa
di cotone azzurro con grembiale rosso cucito d’avanti (sic!).
A
proposito di questo singolare attributo del Santo, nella bella chiesa delle
Monache Agostiniane, la pala sull’altare laterale destro, raffigura San
Giuseppe al momento del trapasso terreno, assistito dalla moglie e dal divin
figlio, con i…consuoceri in nembo, che aspettano la sua anima che, gli angeli
in attesa, condurranno prontamente in cielo.
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