GUIDA ALL'ESPOSIZIONE
DELLE OPERE D'ARTE DI PROPRIETA' DELL'ACCADEMIA DEGLI INCAMMINATI PROVENIENTI
DAL MUSEO CIVICO DI MODIGLIANA ED ALTRO.
di E. Staffa
A seguito della ristrutturazione del Museo Cittadino, l'Accademia
degli Incamminato ha disposto di collocare in modo definitivo, nell' Appartamento Storico dei Vescovi, le
opere provenienti dall'ex-Convento dei frati Cappuccini e conservate, per 14
anni, nella sala riservata all'Accademia
al primo piano del museo.
Data l'entità e la qualità delle opere depositate sono
state distribuite in varie sale dell'Appartamento.
Nel secondo
ingresso, detto del Crocefisso, sono state posizionate le seguenti opere:
- Sulla consolle la Deposizione di Cristo, terracotta
devozionale policroma, riferibile a bottega bolognese del sec. XVIII. Anticamente, questo modellino era conservato
nella nicchia del corridoio centrale delle celle al primo piano del Convento.
Molto probabilmente era servito da modello per trarne la
deposizione in gesso, a grandezza d'uomo, tutt'ora visibile nella grotta a lato
della scalinata della ex-chiesa del Convento. Ormai completamente degradata
dall'esposizione all'aria aperta e dall'incuria, conserva e trasmette ancora,
però, quasi intatta, la pietà e la drammaticità che voleva rappresentare.
Le catacombe, di cui detta grotta faceva parte, erano
state costruite nel 1754 quando P. Gabriele Sacchini, autore della prima storia
di Modigliana, era il Padre Guardiano del Convento. Sul frontone dell'edificio,
in alto sopra la grotta, c'era una scritta in latino, ora completamente
cancellata dalle intemperie, che ricordava che : "Questa sacra celletta, rovinata dall'ingiuria del tempo, è
stata restaurata a miglior forma. Anno del Signore 1904". Credo sia stato l'ultimo restauro a cui è
stata sottoposta negli ultimi 112 anni.
Parete di fronte: Per chi non fosse stato
presente alla consegna della " Donazione
Dora Savorana", avvenuta in queste sale il 16 luglio 2016 alla
presenza di numerosi parenti dell'A. Su
questa parete sono esposti i quattro bozzetti originali che il Prof Ugo Savorana, eseguì ad
acquerello, nell'aprile del 1939, per il concorso, indetto dalla Curia Vescovile
di Modigliana, per la decorazione interna della rinnovata Cappella del
Santissimo del Duomo di Modigliana, in previsione del 1° Congresso Eucaristico
previsto nel settembre dello stesso anno. A questo progetto fu preferito quello
del Prof. Giuseppe Rivani di Bologna. La
realizzazione della "Cena di
Emmaus" dell'abside e l'intera decorazione della cappella, che
possiamo ora ammirare, fu eseguita, su cartoni del Rivani, dal famoso
decoratore bolognese Agostino Mazzanti.
Alla parete a sinistra: 14
stazioni della Via Crucis, opere del Cappuccino
Fr. Ferdinando dal Buono o Ferdinando da Bologna, al secolo Vincenzo Dal Buono.
Nato a Bologna nel 1704, inizia giovanissimo
lo studio del disegno e frequenta la scuola di pittura decorativa e
scenografica di Ferdinando Galli Bibiena, di cui diviene uno degli allievi più
apprezzati. Dopo avere trascorso a Praga quattro anni di intensa attività come
scenografo, nel 1729, rientrato in patria, decide di farsi religioso laico
cappuccino. Lo stesso anno, nel convento di Cesena, veste l'abito francescano
assumendo il nome di fra' Ferdinando in omaggio al suo maestro Ferdinando Galli
Bibiena. Nel 1740, viene richiesto, come apprezzato pittore, a Ferrara dal neo
arcivescovo Bonaventura Barberini, anch'egli cappuccino, per decorare la volta
di una galleria nell'episcopio tutt'ora visibile. Dal 1742 il frate pittore
vive nel convento del Monte Calvario di Bologna, dal quale si sposta
frequentemente per i diversi impegni di lavoro. Dal
1755 al '57 Fra Ferdinando dimora nel convento di Modigliana certamente dietro
richiesta del Guardiano padre Fedele da Castel San Pietro. Qui, oltre ad
eseguire un disegno panoramico della città di Modigliana per un'incisione[1], è indirizzato alla
pittura devozionale, realizzando quattordici immagini per la Via Crucis e alcuni ritratti di
religiosi: lavori, specie quelli della Via Crucis, condotti con vivacità di colorito e di pennellata,
tratti dal repertorio iconografico tradizionale. [2]
Rientrato
nel convento di Bologna, dove frate Ferdinando è considerato, oltre che un
eccellente pittore anche un religioso di vita francescana esemplare, muore l'8
dic. 1784.
La Soprintendenza definisce queste
14 tele di discreta fattura. Purtroppo, già negli anni '70, quelle della V, IX
e X stazione erano e sono ancora in cattivo stato di conservazione.
Nel Salone delle Udienze sono state
collocate due tele, in buono stato di conservazione, ma purtroppo prive della
cornice coeva. Le schede della Soprintendenza le attribuiscono al pittore bolognese Ubaldo Gandolfi.
Si tratta
della rappresentazione a mezzo busto dei martiri Santa Apollonia vergine e di
San Biagio Vescovo.
Riguardo la Santa l a tradizione vuole che fra il 248 e il 249 durante una
persecuzione dei cristiani ad Alessandria d'Egitto un'anziana donna credente,
di nome Apollonia, fosse percossa al
punto da farle cadere tutti i denti e per questo viene considerata la patrona dei dentisti. Papa
Pio VI, verso il 1775,
volendo mettere ordine nel culto delle reliquie, fece raccogliere in tutta Italia i presunti denti di santa Apollonia, riempiendo uno
scrigno di tre chili che venne buttato successivamente nel Tevere. S. Biagio Vescovo di Sebaste fu
martirizzato a Sivas, nell'antica Armenia nel 316 sotto la persecuzione
dell'imperatore Licinio. Avendo guarito
miracolosamente un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola, è invocato
come protettore per i mali di quella parte del corpo mediante l'imposizione di
due candele incrociate sul collo. Nel quadro è rappresentato con una folta
barba, paramenti liturgici, mitria e pastorale e con un pettine da cardare la
lana sul davanti, probabile strumento del suo martirio.
Durante il Convegno di Studi Romagnoli tenutosi in S. Rocco
nell'ottobre del 2013, la nota studiosa d'arte Prof.ssa Anna Tambini, ha
chiaramente smentito l'attribuzione di queste due opera al pittore bolognese
Ubaldo Gandolfi e confermato la paternità di quelle due opere al pittore
forlivese Giacomo Zampa ( 1731 - 1808)
Questo
artista, d opo un breve periodo di
apprendistato forlivese presso il famoso conte pittore Paolo Cignani, si è formato principalmente a Bologna come allievo di Vittorio Bigari o di Ercole
Graziani. Tornato
successivamente in Romagna, dove condusse il resto della sua esistenza, vi volse
un'intensa attività artistica, estesa da Forlì, dove sono conservate molte sue
opere presso la collezione della Cassa di Risparmio, in S. Mercuriale, nella
Pinacoteca comunale e nel palazzo Vescovile,
arrivando fino a Faenza, Imola e Lugo.
 La tela dell' ANNUNCIAZIONE posta sopra quelle dei due Santi appena
menzionati, non fa parte del deposito dell'Accademia degli Incamminati ma è una
"new entry" nel Salone delle Udienze.
Proviene dalla Sacrestia di S. Domenico, ed
originariamente dalla ex- chiesa di S. Pietro in Castagnara.Opera
attribuita, nel 2013, dalla Prof.ssa Anna Tambini a Jacopo Vignali
(Pratovecchio 1592 - Firenze 1664).[3]
Ecco quanto scrive, a tale proposito, la
Studiosa:
"L'opera
di Castagnara presenta un effetto chiaroscurale più intenso e una stesura
pittorica più morbida rispetto all'Annunciazione
Strozzi (Santa Trinata, Firenze, 1609) uno dei capolavori di Jacopo Chimenti detto l'Empoli, da cui,
inequivocabilmente, discende. La valenza
espressiva però è più accentuata; l'atteggiamento della Vergine, quasi un
istintivo gesto di ritrosia, fa ben capire l'intimo contrasto tra il turbamento
e l'assenso al messaggio angelico. L'opera è condotta in una chiave luministica ed espressiva del
tutto simile. Vi si ritrovano gli stessi protagonisti e fin anche gli stessi
dettagli come la raffinata resa dei broccati nelle vesti dell'angelo. Jacopo
Vignali è già presente a Modigliana, in S. Domenico, con la Visione di San Filippo Neri firmata e datata 1625. Tale data può essere estesa anche all'Annunciazione di Castagnara, che
affascina per l'eleganza formale e al tempo stesso per la profondità dei
sentimenti, per la finezza della pennellata, per il gioco sottile della luce e
delle ombre."
Nella
nota 23, a piè di pagina, la Prof.ssa Tambini aggiungeva : "L'opera (olio su tela) 145 x 113 cm è
integra ed in buono stato sebbene la pellicola pittorica sembri aver sofferto
per graffiature e sia offuscata dal tempo". (Successivamente allo studio della
Tambini parlai e mostrai questa tela alla
concittadina restauratrice Minerva Tramonti Maggi che non la conosceva ed
entusiasticamente si prestò, gratuitamente, a ripulirla dalla patina del tempo
ridandole la nitidezza che potete ammirare).
"Devo, continua la nota della
Prof.ssa Tambini , la conoscenza della tela
a Vincenzo Staffa che ringrazio per la gentile segnalazione e per la premurosa
assistenza ricevuta nella mia ricognizione a Modigliana".
Anche per questo ci tenevo che questa
bellissima tela uscisse dalla polverosa sacrestia di San Domenico e fosse vista
ed apprezzata da molte più persone e non solo dai soli distratti sacerdoti e
chierichetti che entrano nella sacrestia .
Ma, per tornare al deposito
dell'Accademia, passiamo nello Studio
del Vescovo.
Sulle pareti longitudinali sono
state esposte le tredici tele che rappresentano i ritratti di 12 Frati
Cappuccini e di una suora, tutti modiglianesi di nascita, illustri per
opere, scritti o condotta religiosa
esemplare. Alcuni di loro sono stati anche Padri Guardiani del Convento Crucis che abbiamo visto poco fa, cioè
di Fr. Ferdinando dal Buono.
- 4, cioè
i PP. Savelli, Corelli Giuseppe, Laghi e Tempesta sono di Anonimo Piazzettesco, cioè un epigone del grande
pittore Giovan Battista Piazzetta, (nato a
Venezia nel 1683 ed ivi morto nel 1754)
- 3, cioè
i PP. Bosi, Freghi e la suora Fanelli di semplice Anonimo
- 2, i PP.
Melandri e Ronconi di Francesco Dirani da Bagnacavallo (non ho trovato
sue notizie)
- 2, i PP.
Francesco Corelli Anonimo bolognese e Gabriele Sacchini sono di Anonimo Emiliano Romagnolo.
Devo dette attribuzioni alla nostra concittadina restauratrice
Minerva Tramonti Maggi.
Lungo la parete Nord della Cappella privata del Vescovo sono stati
sposti i Busti Reliquiari
conservati, a suo tempo, dietro la tela di S. Antonio da Padova del primo
altare laterale dell'ex-chiesa della Madonna della Pace nel Convento dei Frati
Cappuccini. Restaurati nel 1995 nel
laboratorio dalla concittadina Minerva Tramonti Maggi a Bergamo, con il
contributo della Ditta Alpi Spa, furono presentati, per la prima volta, nel
nostro Palazzetto dello Sport all'interno di un suggestivo allestimento
progettato dall'Arc. Stefano Liverani,
in occasione della Tornata Accademica d'autunno.
Sei
degli otto splendidi busti sono attribuiti, dal critico Antonio Corbara, a
Domenico da Tolmezzo, mentre gli altri due, risalenti al sec. XVII, sono di
autore ignoto.
Domenico
da Tolmezzo (a volte
citato come Domenico Mion o Mioni, o anche Domenico di Candido) è nato a Canale di Gorto,1448 e morto a Udine nel 1507) Valente pittore e scultore italiano viene
considerato il leader della Scuola
di Tolmezzo, nutrito gruppo di artisti friulani attivi nella seconda metà
del Quattrocento, in un contesto dove si mescolarono le innovazioni rinascimentali
provenienti dai centri veneti con le residue influenze del gotico veneziano. Degna di menzione è la pala d'altare
raffigurante la Madonna con
Bambino e Santi risalente al 1479
e custodita nel Castello di Udine. Ancora più feconda fu l'attività come
scultore delle pale di legno, che evidenziarono la monumentalità ed i ritmi
dei Vivarini. Tra gli
esempi più significativi si annoverarono l'ancona di San Pietro di Carnia,
terminata nel 1484, i santi Leonardo e Matteo, l'altare di
Terzo per la chiesa di San Giovanni e i polittici di Illegio e di Invillino del 1497.
I
sei busti del '400, scolpiti in
legno di pioppo, sono stati eseguiti separatamente dalle basi di appoggio,
dalle braccia protrudenti, da alcuni simboli che recano o recavano in mano,
come pure dalle aureole realizzate tutte in legno di faggio. I due del '600, invece, sono stati
ricavati da un unico blocco di legno di pioppo, scavato all'interno, per
accogliere la reliquia, ad esclusione, ovviamente, delle aureole. Tutti presentano una policromia molto
variata che va dai tenui rossi del S. Carlo Borromeo e di Santa Anastasia, ai
verdi chiari e scuri del Sant'Andrea e del San Giuda. Gl'incarnati, molto
realistici, sono messi in risalto dalle ampie dorature, ancora ben conservate,
dei panneggi finemente decorati a motivi "gotici" mediante
graffiature a mano in modo da fingere un tessuto preziosamente ricamato. Il restauro non ha integrato le parti
mancanti come l'avambraccio destro di S. Giacomo e le dita di S. Giuda, o la
ricostituzione dei simboli chiaramente mancanti come il pastorale al vescovo S.
Andrea ed altro a S. Giuda, è però intervenuto, con una lieve integrazione
pittorica, dove l'interruzione della superficie dipinta poteva disturbare la
lettura dell'opera: ad esempio sui volti e sulle mani.
Dei
4 bracci reliquiari posti sulla
mensola in fondo, tre soli hanno la reliquia, una delle quali è anonima, mentre
le altre due sono dei Martiri S. Saturnino e S. Antioco. La peculiarità dei bracci reliquiari è che le
reliquie che contengono, come potete vedere, consistono in grossi pezzi di ossa,
del braccio appunto, a differenza di quelle che vedete intorno a voi, che sono
quasi sempre microscopici pezzi di qualcosa appartenete al santo.
L'Accademia
ha affidato alla cura della Parrocchia anche altro materiale proveniente
dall'ex-chiesa dei Frati come un anonimo espositore da altare, numerosi
candelabri di varie dimensioni ed il bellissimo Tabernacolo a forma di basilica, del tipico colore fratino, che era
sull'altar maggiore. Come lo potete vedere qui vicino alla finestra, ha bisogno
di un adeguato restauro e chissà che, in un futuro, speriamo non troppo
lontano, si trovi uno sponsor che se ne faccia carico perché merita veramente
di tornare all'antico splendore.
Questo è tutto. Grazie di essere
intervenuti e buona sera.
[1]
[2]
Dall'Enciclopedia Treccani
[3]
A. Tambini Puntualizzazioni e scoperte
per la pittura a Modigliana... da STUDI
ROMAGNOLI LXIV (2013) - Ediz.
Stilgraf - Cesena; pagg.126-127
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